Tutto il dramma dell'uomo si risolve nella sua
molteplicità e
frammentarietà.
Tutto il destino dell'uomo si esprime nella sua
riduzione ad unità.
Definita la condizione di partenza e individuato l'obbiettivo finale, dunque, il problema si pone nei termini del come fare a perseguire quest'ultimo. Ed è un problema che
dev'essere risolto vivendo, anzi con la totalità della propria esistenza, seguendo le indicazioni che la Rivelazione divina non manca di fornirci.
Il guaio è che nella religione sono più i simboli che le parole ad indicare la Via; mentre le nostre menti impietrite si nutrono ormai solo della vuota esteriorità dei concetti verbali e non sanno più leggere la Verità nelle immagini. Le parole e i concetti rendono gli uomini schiavi della Legge, al modo dei Farisei del Vangelo, incollati all'applicazione esteriore, letterale e materiale delle prescrizioni mosaiche. Opponendosi duramente a questo errore, Gesù insegna che la Legge (e la legge morale in primo luogo) deve essere strumento e non fine, deve servire cioè non a incatenare l'uomo, bensì a liberarlo, predisponendolo all'Unione identificante con Dio.
Ma il presupposto di questa (
ri-)Unione dell'Uomo a Dio è la
(ri-)unificazione di ciò che nell'uomo è frammentario e molteplice.
E' il mistero a cui allude il simbolismo eucaristico del Pane e del Vino.
Una quantità indefinita di chicchi di grano - distinti ma omogenei - vengono macinati a comporre una nuova sostanza, la farina. Questa materia "terrosa" viene trasformata in pasta dall'acqua e dall'azione delle mani dell'uomo. E il fuoco del forno produrrà il terzo e ultimo passaggio di stato quello che darà al pane il suo aspetto finale. La mancanza di lievito nell'impasto vuole significare che l'unico elemento attivo rispetto alla pasta, passiva,
dev'essere il fuoco.
Gli acini d'uva subiscono un destino in parte uguale a quello dei chicchi di grano. La pigiatura corrisponde alla macina. Ma vi è a questo punto una netta differenza: l'elemento fuoco, in questo caso, non deve essere aggiunto dall'esterno, perché è già contenuto nella materia acquosa e terrosa: sono gli agenti della fermentazione (corrispondenti al lievito, che invece mancava nel pane) a trasformare il mosto in vino.
Il simbolismo indica chiaramente che ci sono due parti distinte nell'uomo, le quali devono essere ambedue trasformate, ma ognuna a suo modo: una ha bisogno di un fuoco esterno, l'altra non né ha bisogno perché lo porta già in sé.
Entrambe le parti sono frammentarie e divise e devono essere sminuzzate per conquistare un grado accettabile di
omogeneità, tale da consentire all'agente della trasformazione di operare su di loro. Dopodiché, le due sostanze così trasformate devono armonizzarsi per produrre, insieme e di concerto, grazie alla decisiva influenza dello Spirito, l'ultima e definitiva
trasformazione: l'Unione identificante (o Comunione) con Dio.
Ne risulta agevolmente un corollario: poiché tutto ciò che è creato è continuamente soggetto al cambiamento e alla variazione, è necessario sottrarsi progressivamente alla molteplicità e all'incessante mutamento per potersi avvicinare al Principio, a quel
Padre della Luce in cui non c'è variazione né ombra di cambiamento (San Giacomo, 1, 17).