mercoledì 10 dicembre 2008

hic et nunc









Il presente si offre a noi solo per un istante e poi elude i sensi.

PLUTARCO




Semplicemente cercare di essere dove si è in questo momento.
Osservare la propria mente che è incline a vagare
e forse un giorno arrivare a controllarla.

Mentre si cambia livello di essere
si acquistano molti tesori
fra cui il più grande è
l'ablilità di penetrare il presente
sempre più spesso e più profondamente.

Si può avere tutto se si è paghi del presente:
non esiste niente di altrettanto emozionante
di questo presente
così inavvertito
eppure così vicino a noi
mentre ci guardiamo attorno senza sapere
nemmeno che cosa stiamo cercando.

Accogliere ciò che ci accade e ci viene incontro
abbracciarlo teneramente, qualsiasi cosa sia,
ed essere sempre pronti ad ascoltare
più che a parlare.

Questa è la chiave.
Il nostro impegno,
il nostro compito è sempre
qui
in questo preciso momento.

venerdì 5 dicembre 2008

e pluribus Unum





Tutto il dramma dell'uomo si risolve nella sua molteplicità e frammentarietà.
Tutto il destino dell'uomo si esprime nella sua riduzione ad unità.
Definita la condizione di partenza e individuato l'obbiettivo finale, dunque, il problema si pone nei termini del come fare a perseguire quest'ultimo. Ed è un problema che dev'essere risolto vivendo, anzi con la totalità della propria esistenza, seguendo le indicazioni che la Rivelazione divina non manca di fornirci.
Il guaio è che nella religione sono più i simboli che le parole ad indicare la Via; mentre le nostre menti impietrite si nutrono ormai solo della vuota esteriorità dei concetti verbali e non sanno più leggere la Verità nelle immagini. Le parole e i concetti rendono gli uomini schiavi della Legge, al modo dei Farisei del Vangelo, incollati all'applicazione esteriore, letterale e materiale delle prescrizioni mosaiche. Opponendosi duramente a questo errore, Gesù insegna che la Legge (e la legge morale in primo luogo) deve essere strumento e non fine, deve servire cioè non a incatenare l'uomo, bensì a liberarlo, predisponendolo all'Unione identificante con Dio.
Ma il presupposto di questa (ri-)Unione dell'Uomo a Dio è la (ri-)unificazione di ciò che nell'uomo è frammentario e molteplice.
E' il mistero a cui allude il simbolismo eucaristico del Pane e del Vino.
Una quantità indefinita di chicchi di grano - distinti ma omogenei - vengono macinati a comporre una nuova sostanza, la farina. Questa materia "terrosa" viene trasformata in pasta dall'acqua e dall'azione delle mani dell'uomo. E il fuoco del forno produrrà il terzo e ultimo passaggio di stato quello che darà al pane il suo aspetto finale. La mancanza di lievito nell'impasto vuole significare che l'unico elemento attivo rispetto alla pasta, passiva, dev'essere il fuoco.
Gli acini d'uva subiscono un destino in parte uguale a quello dei chicchi di grano. La pigiatura corrisponde alla macina. Ma vi è a questo punto una netta differenza: l'elemento fuoco, in questo caso, non deve essere aggiunto dall'esterno, perché è già contenuto nella materia acquosa e terrosa: sono gli agenti della fermentazione (corrispondenti al lievito, che invece mancava nel pane) a trasformare il mosto in vino.
Il simbolismo indica chiaramente che ci sono due parti distinte nell'uomo, le quali devono essere ambedue trasformate, ma ognuna a suo modo: una ha bisogno di un fuoco esterno, l'altra non né ha bisogno perché lo porta già in sé.
Entrambe le parti sono frammentarie e divise e devono essere sminuzzate per conquistare un grado accettabile di omogeneità, tale da consentire all'agente della trasformazione di operare su di loro. Dopodiché, le due sostanze così trasformate devono armonizzarsi per produrre, insieme e di concerto, grazie alla decisiva influenza dello Spirito, l'ultima e definitiva trasformazione: l'Unione identificante (o Comunione) con Dio.
Ne risulta agevolmente un corollario: poiché tutto ciò che è creato è continuamente soggetto al cambiamento e alla variazione, è necessario sottrarsi progressivamente alla molteplicità e all'incessante mutamento per potersi avvicinare al Principio, a quel Padre della Luce in cui non c'è variazione né ombra di cambiamento (San Giacomo, 1, 17).

martedì 2 dicembre 2008

con l'anima obesa






Il ventre ripieno appesantisce il corpo e annebbia la mente: è la condizione generale degli uomini di questo tempo.
Ma al di sotto della nebbia si agitano sentimenti, passioni, aspirazioni frustrate, profonde esigenze esistenziali represse. E da tutto questo ribollire, di cui la coscienza non si accorge, scaturiscono le inquietudini e l'angoscia, che piano piano si gonfiano fino a riempire di sé la totalità dell'esistenza quotidiana.
Ed è inutile cercare di fuggire da quest'oppressione subconscia rifugiandosi nel lavoro, nella ricerca del piacere o del possesso materiale: distrazioni di breve durata, da reiterare a oltranza di fronte a ogni nuovo affiorare della marea inconscia. Sì che alla lunga, lo sforzo di evasione si fa frenetico, dando vita anch'esso a ulteriori inquietudini e a più profonde angosce.