mercoledì 10 dicembre 2008

hic et nunc









Il presente si offre a noi solo per un istante e poi elude i sensi.

PLUTARCO




Semplicemente cercare di essere dove si è in questo momento.
Osservare la propria mente che è incline a vagare
e forse un giorno arrivare a controllarla.

Mentre si cambia livello di essere
si acquistano molti tesori
fra cui il più grande è
l'ablilità di penetrare il presente
sempre più spesso e più profondamente.

Si può avere tutto se si è paghi del presente:
non esiste niente di altrettanto emozionante
di questo presente
così inavvertito
eppure così vicino a noi
mentre ci guardiamo attorno senza sapere
nemmeno che cosa stiamo cercando.

Accogliere ciò che ci accade e ci viene incontro
abbracciarlo teneramente, qualsiasi cosa sia,
ed essere sempre pronti ad ascoltare
più che a parlare.

Questa è la chiave.
Il nostro impegno,
il nostro compito è sempre
qui
in questo preciso momento.

venerdì 5 dicembre 2008

e pluribus Unum





Tutto il dramma dell'uomo si risolve nella sua molteplicità e frammentarietà.
Tutto il destino dell'uomo si esprime nella sua riduzione ad unità.
Definita la condizione di partenza e individuato l'obbiettivo finale, dunque, il problema si pone nei termini del come fare a perseguire quest'ultimo. Ed è un problema che dev'essere risolto vivendo, anzi con la totalità della propria esistenza, seguendo le indicazioni che la Rivelazione divina non manca di fornirci.
Il guaio è che nella religione sono più i simboli che le parole ad indicare la Via; mentre le nostre menti impietrite si nutrono ormai solo della vuota esteriorità dei concetti verbali e non sanno più leggere la Verità nelle immagini. Le parole e i concetti rendono gli uomini schiavi della Legge, al modo dei Farisei del Vangelo, incollati all'applicazione esteriore, letterale e materiale delle prescrizioni mosaiche. Opponendosi duramente a questo errore, Gesù insegna che la Legge (e la legge morale in primo luogo) deve essere strumento e non fine, deve servire cioè non a incatenare l'uomo, bensì a liberarlo, predisponendolo all'Unione identificante con Dio.
Ma il presupposto di questa (ri-)Unione dell'Uomo a Dio è la (ri-)unificazione di ciò che nell'uomo è frammentario e molteplice.
E' il mistero a cui allude il simbolismo eucaristico del Pane e del Vino.
Una quantità indefinita di chicchi di grano - distinti ma omogenei - vengono macinati a comporre una nuova sostanza, la farina. Questa materia "terrosa" viene trasformata in pasta dall'acqua e dall'azione delle mani dell'uomo. E il fuoco del forno produrrà il terzo e ultimo passaggio di stato quello che darà al pane il suo aspetto finale. La mancanza di lievito nell'impasto vuole significare che l'unico elemento attivo rispetto alla pasta, passiva, dev'essere il fuoco.
Gli acini d'uva subiscono un destino in parte uguale a quello dei chicchi di grano. La pigiatura corrisponde alla macina. Ma vi è a questo punto una netta differenza: l'elemento fuoco, in questo caso, non deve essere aggiunto dall'esterno, perché è già contenuto nella materia acquosa e terrosa: sono gli agenti della fermentazione (corrispondenti al lievito, che invece mancava nel pane) a trasformare il mosto in vino.
Il simbolismo indica chiaramente che ci sono due parti distinte nell'uomo, le quali devono essere ambedue trasformate, ma ognuna a suo modo: una ha bisogno di un fuoco esterno, l'altra non né ha bisogno perché lo porta già in sé.
Entrambe le parti sono frammentarie e divise e devono essere sminuzzate per conquistare un grado accettabile di omogeneità, tale da consentire all'agente della trasformazione di operare su di loro. Dopodiché, le due sostanze così trasformate devono armonizzarsi per produrre, insieme e di concerto, grazie alla decisiva influenza dello Spirito, l'ultima e definitiva trasformazione: l'Unione identificante (o Comunione) con Dio.
Ne risulta agevolmente un corollario: poiché tutto ciò che è creato è continuamente soggetto al cambiamento e alla variazione, è necessario sottrarsi progressivamente alla molteplicità e all'incessante mutamento per potersi avvicinare al Principio, a quel Padre della Luce in cui non c'è variazione né ombra di cambiamento (San Giacomo, 1, 17).

martedì 2 dicembre 2008

con l'anima obesa






Il ventre ripieno appesantisce il corpo e annebbia la mente: è la condizione generale degli uomini di questo tempo.
Ma al di sotto della nebbia si agitano sentimenti, passioni, aspirazioni frustrate, profonde esigenze esistenziali represse. E da tutto questo ribollire, di cui la coscienza non si accorge, scaturiscono le inquietudini e l'angoscia, che piano piano si gonfiano fino a riempire di sé la totalità dell'esistenza quotidiana.
Ed è inutile cercare di fuggire da quest'oppressione subconscia rifugiandosi nel lavoro, nella ricerca del piacere o del possesso materiale: distrazioni di breve durata, da reiterare a oltranza di fronte a ogni nuovo affiorare della marea inconscia. Sì che alla lunga, lo sforzo di evasione si fa frenetico, dando vita anch'esso a ulteriori inquietudini e a più profonde angosce.

mercoledì 26 novembre 2008

la menzogna di ippocrate






















L'illusione prometeica del dottor Frankenstein di Mary Shelley si è fatta realtà sotto i nostri occhi, contrabbandata come trionfo della scienza e somma elevazione morale.
Indottrinata dal materialismo pratico e dalla visione meccanicistica, l'opinione corrente è indotta a considerare la medicina dei trapianti una cosa buona e giusta, soprattutto dall'egoistica preoccupazione di dovervi fare ricorso un giorno o l'altro, per sé o per i propri cari.
Così prosperano il mercato degli organi, la speculazione della casta medica e gli intrighi delle multinazionali farmaceutiche. Che sponsorizzano i media perché diffondano la menzogna della "morte cerebrale" e i governi perché la impongano per legge, con una raccapricciante fictio juris.
Dando via libera alla cinica prassi dei consensi carpiti con melliflue panzane ai parenti indifesi, tormentati dal dolore e oppressi dallo sgomento.
Gli organi si espiantano dagli organismi ancora caldi e pulsanti di esseri umani ancora viventi e vitali: ogni trapianto presuppone un omicidio.

venerdì 21 novembre 2008

fuga dal regno delle ombre

















Sapersi prendere e saper prendere gli altri.

Ma anche sapersela non prendere per le cose.

Perché diamo alle cose troppa importanza.

E questo ci impedisce di dare la giusta importanza alle persone,

che contano molto di più delle cose.

Ma noi viviamo come fantasmi in un mondo di ombre.


Per esempio...

... pensando a quello che farò stamattina creo con l'immaginazione un fantasma,

un'immagine psichica,

la animo e le do vita,

tracciando un solco nel quale le mie azioni effettive

finiranno con ogni probabilità per inserirsi.

E domattina, o la successiva, rievocherò lo stesso fantasma

e ripeterò lo stesso percorso,

con minime e trascurabili differenze.

È una forma di magia inconsapevole.

Ma qualcuno ha deciso per noi che la magia non esiste

e ci ha imposto di crederlo.

Noi l'abbiamo creduto

e ora siamo vittime indifese degli innumerevoli incantesimi

che noi stessi e chi ci è vicino

continuamente poniamo in atto.

È la consapevolezza dell'inconsapevole magia

la chiave per sfuggire al regno delle ombre.


giovedì 20 novembre 2008

sotto il tacco di Mammona
























Il tragico paradosso di questa infelice umanità è il di essere soggetta a una schiavitù subdola e oppressiva quanto inavvertita, perché fondata proprio sulla generalizzata convinzione di essere liberi.
La tirannia del denaro, il ricatto del posto di lavoro e le leve sempre più implacabili dell'imposizione fiscale, vanificano in concreto ogni formale riconoscimento di diritti e condannano gli individui e i gruppi ad una continua insicurezza, fonte di un malessere psichico persistente che avvelena l'aria di tutte le nostre città ben più dei fumi del traffico e degli scarichi industriali.
A gestire con abilità questa tenaglia monetaria è un potere trasversale, occulto ma tangibile, che tiranneggia i governi e i popoli, attraverso la secolare occupazione dei centri nevralgici delle istituzioni.
La selezione delle classi dirigenti - politiche e finanziarie - attraverso consolidati e ineludibili meccanismi di casta; la diffusione capillare di false ideologie e artificiosi assiomi, imposti alle masse come "vangelo" intangibile, protetto da minacciose scomuniche; l'espropriazione delle banche centrali nazionali da parte dell'anonima e anodina finanza globale; l'uso sapiente ma facilmente riconoscibile di strumenti monetari come inflazione e crisi economiche programmate; il monopolio totalitario dell'informazione di massa, sono gli anelli di una catena, che da guinzaglio si sta trasformando sempre più in capestro.
Qualcuno propone di trasformare il denaro in moneta elettronica, rendendo inoccultabile la circolazione di valuta. In tal modo la tassazione non graverebbe più sui redditi ma sulle singole transazioni, in modo proprozionale e non progressivo. Togliendo ogni possibilità di evasione fiscale, scongiurando l'inflazione e stimolando l'iniziativa economica a tutti i livelli.
Col risultato di recuperare ricchezza da destinare al benessere delle comunità anziché agli sperperi delle partitocrazie e degli apparati statali. Un'ipotesi da valutare attentamente.
Ma chi mai, là dove si decide, potrebbe mai vedere di buon grado una simile riforma?

mercoledì 19 novembre 2008

La sete























Risvegliatasi di soprassalto
dal sonno ipnotico
dell'irreligiosità,
indotta
dai Lumi del Libero Pensiero,
e dagli incubi
dei disperanti materialismi
positivista, materialista e liberista,
l'anima occidentale si è riscoperta
assetata di spiritualità.

Ma guardandosi attorno,
tra le rovine di una civiltà distrutta
e gli scenegrafici fondali
del suo surrogato tecnocratico,
non sa trovare nulla
per appagarsi,

se non i distorti moralismi
di un clero senescente,
intossicato dalle false certezze
di questo tempo malato,

o, peggio ancora,
le diavolerie a buon mercato
nello spaccio psichedelico
dell'edonismo neospiritualista.

Con tali presupposti
non residua che una speranza:
ritrovare
i sentieri antichi e abbandonati
tra i cespugli e le ombre
della memoria
e penetrare
con gli occhi della mente
bene aperti
nel santuario del cuore.

lunedì 17 novembre 2008

viva l'inghilterra







CATTOLICI INGLESI E GALLESI MARTIRIZZATI
SOTTO IL REGNO DI ELISABETTA I


Tra il 1559-1563, con vari editti, la regina Elisabetta I ritoccò il Prayer Book di Edoardo VI e obbligò tutti a giurare la sua supremazia se volevano uffici pubblici, a conformarsi esteriormente al rito anglicano, ad abiurare il primato romano, a non esercitare atti di culto cattolico, specialmente a non celebrare la Messa.
La pena variava da una forte multa fino alla morte.
I giustiziati furono migliaia dopo che San Pio V scomunicò Elisabetta e sciolse i sudditi dal giuramento di fedeltà.


[da www.totustuus.net]

lunedì 3 novembre 2008

Tracce di verità sepolte

Ci hanno raccontato da sempre che i nostri antichi
erano "politeisti", mentre i cristiani, più evoluti credevano come i loro fratelli maggiori e i loro cuginetti islamici al Dio Unico.
E noi ci abbiamo creduto.
Eppure gli ultimi tra gli "antichi" protestavano strenuamente che i loro "Dei" avevano lo stesso valore degli Angeli e dei Santi del Cristianesimo: di modo che il culto dei molti Dei non escludeva affatto la superiore fede nell'Uno.
E se in epoca di decadenza ovvero nelle forme di religiosità popolare il mondo antico conobbe la personificazione e l'umanizzazione dei Numi celesti, del pari nel cattolicesimo popolare vi sono sempre state corrispondenti forme di devozione incentrate sulle figure dei Santi, spesso in relazione a determinati santuari o a certe preziose reliquie.


Tuttavia, oggi, la presunzione degli spiriti moderni accomuna nel biasimo tanto il monoteismo cristiano, quanto il presunto politeismo degli antichi: e a colmare questo nulla spirituale non rimane che il culto materialista del falso benessere individuale, che paradossalmente ha trasformato e nostre città in mesti alveari, ove regnano incontrastate l'ansia, l'agitazione, l'agitazione, l'infelicità.
Per chi non vuole soggiacere a questo stato di cose rimane tuttavia la possibilità di guardare oltre i nuovi e antichi pregiudizi, di ritrovare il rispetto e l'umiltà per guardare con interesse alla saggezza degli altri e riscoprirne i sentieri, che questa civiltà ha troppo frettolosamente abbandonato.
Una traccia del genere ci viene dalla vicinanza nel calendario, che nonostante tutto ancora seguiamo, della ricorrenza di Tutti i Santi con la commemorazione dei Defunti.
Per i molti certamente è stata un'occasione di vacanza e di riposo.
Ma anche chi non prova più la gioia di immergersi nella quiete rasserenante dei Camposanti, certamente in questi giorni si è fermato un attimo a rivolgere un pensiero affettuoso alle persone care che non sono più vicine materialmente, ma che spesso continuano ad esserlo in modi diversi ma altrettanto concreti.

Per quanto mi riguarda, nutro la ferma convinzione che la doppia ricorrenza che abbiamo appena celebrato celi una traccia precisa, per chi vuol vedere oltre le apparenze: la continuità, attraverso i millenni, dell'antico culto degli Antenati. Una semplice e umile pratica religiosa nella quale gli uomini di altri tempi trovavano l'antidoto infallibile alla schiavitù dell'ego: tiranno tronfio ed individualista, che ci vampirizza, succhiandoci tutta la libertà di tempo e di azione che il progresso sociale e tecnologico dovrebbe averci garantito.

mercoledì 22 ottobre 2008

OGGETTIVA_MENTE






Sarebbe bello vedere che cosa accadrebbe se tutti si togliessero i paraocchi con su dipinta questa versione addomesticata di realtà, buona per pacificare la coscienza collettiva. Suppongo che ciò debba accadere, e più presto che tardi. Non sono ancora riuscito a decidere se augurarmi o meno di essere presente. Ma propendo per il sì.


sabato 11 ottobre 2008

Il senso e il linguaggio


Splende nel giorno ottavo l’era nuova del mondo,

consacrata da Cristo, primizia dei risorti.


Le parole di questo inno liturgico domenicale affermano che con la sua morte Cristo ha chiuso la vecchia era del mondo e con la sua resurrezione ha aperto la nuova, l’ “era dei risorti”, di cui Egli è la “primizia”.

Tuttavia a guardare la storia, dal giorno di quell’evento glorioso ad oggi, non si può certo dire che vi sia stata un’epoca di luce e di carità universale, tale da poter essere definita “era dei risorti”. In senso letterale, poi, gli uomini hanno continuato a morire fisicamente, ma di risorti non se ne sono visti. E allora?

Allora bisogna trovare un senso diverso a queste parole, come si addice per ogni espressione che non è puramente umana ma profetica e ispirata.

Bisogna trovare un senso nuovo, leggere questi versi come se fossero un linguaggio nuovo, una lingua straniera, sconosciuta. Meglio ancora, come una lingua madre naturalmente appresa, ma da tempo dimenticata.

Frugando tra le pieghe della memoria alla ricerca di questo senso nascosto, ci si convince che l’inizio della “nuova era” non ha luogo deterministicamente nella vicenda collettiva del mondo, ma nella storia individuale di ogni uomo, proprio con la (ri)scoperta di questo linguaggio nuovo e antico, sepolto nella coscienza, e con la ricerca della sua chiave nascosta.

E il primo significato che si manifesta chiaramente è quello di una “morte” che dobbiamo conseguire vivendo, e che è, prima di tutto, morte al vecchio linguaggio e al vecchio modo di essere e di pensare che l’accompagnano: dobbiamo morire se vogliamo rinascere.

La saggezza innata dell’umanità ha sempre contrapposto alla dolorosa consapevolezza dell’ineluttabilità della morte fisica la consolazione della fede nella sopravvivenza dell’anima. Ma oggi che le “libertà” luciferiane hanno dilaniato il velo delle consolanti certezze fideistiche, ci siamo persuasi che quella fede letterale e acritica, era soltanto un inganno, una benefica e pietosa menzogna. E in seguito a questa scoperta, squarciato lo schermo dell’apparenza, siamo sovrastati dalla percezione dell’assurdità del vivere, con tutto il suo seguito di ansie e di ineludibili angosce.

Ne risultano due possibili esiti, che si alternano, si oppongono e si confondono nelle coscienze degli individui e delle masse che popolano questi tempi sempre più caotici: da una parte, la determinazione a guardare in faccia l’assurdo della nostra condizione esistenziale, accettandone tutte le ipotetiche conseguenze, per devastanti che possano apparire; dall’altra, la fuga e il riparo nella distrazione, nella alienazione, in un nuovo autoinganno: l’immersione nel regno dei fantasmi dell’edonismo, del benessere materiale e sensoriale, delle frenesie consumistiche, delle fantasmagorie luminescenti delle realtà virtuali, catodiche o “al plasma”. Inganno che però si rivela, a conti fatti, molto più precario e insoddisfacente delle fedi di un tempo, forse troppo frettolosamente abiurate

Accade, nei tempi ultimissimi, che il coraggio necessario a perseguire la prima possibilità, cioè ad affrontare consapevolmente l’assurdo esistenziale portandolo alle sue estreme conseguenze, sia sempre più raro ed evanescente. Come se non bastasse, le sue sporadiche manifestazioni odierne possono essere facilmente “neutralizzate” e “sterilizzate”, incanalandole nelle condutture capienti del vitalismo e dell’autoesaltazione individualistica, attraverso forme estreme di svago o di divertimento che, continuamente proposte all’immaginario collettivo, fungono da specchio per le allodole per gli animi potenzialmente “ribelli” alla tragica meschinità del vivere borghese. E così l’adrenalina, ultima via residua per l’apertura di superiori gradi di consapevolezza, diviene invece strumento per nuove evasioni, nuove schiavitù, nuove forme di sfruttamento commerciale: un ulteriore rivolo della corrente del consumismo, che stempera le aspirazioni individuali a uno stile interiore più alto e a una più elevata presa di coscienza nel perseguimento di un precario benessere emotivo e di un febbrile autocompiacimento egotistico. Sentimenti vacui e contraddittori con cui si pretende ingenuamente di surrogare quella pace profonda che nasce nell’animo solo dall’aver sostenuto e superato tutte le prove più dure e le lotte più strenue contro i fantasmi della coscienza e della subcoscienza.

Non rimane dunque, come via d’uscita da questo vicolo cieco, che la ricerca di un nuovo linguaggio, capace di mostrare il senso reale e vivificante di quell’insegnamento evangelico che le incrostazione dell’ignoranza e dell’incomprensione di molti secoli hanno occultato ma non deteriorato. E di quelle parvenze della Realtà incastonate nel Rito che, per essere ai nostri occhi consuete e ricorrenti, sono diventate scontate e banali, hanno perduto ogni attrattiva, ogni capacità di stimolo e di entusiasmo.

Occorre a tal fine una dose cospicua di quel coraggio che tutti abbiamo, ma che quasi mai siamo disposti a tirare fuori: il coraggio di mettere totalmente in discussione noi stessi: certezze, convinzioni, gusti, valori, opinioni consolidate, modi di essere e di pensare, abitudini, passioni, comportamenti, stili di vita….

Il coraggio necessario a morire vivendo e a risorgere a noi stessi trasfigurati, per poter guardare con gioia alla vita terrena e con pacata fermezza a ciò che verrà dopo.

Ce la faremo.


domenica 5 ottobre 2008

LE DUE MASCHERE



Viviamo nell’illusione di essere uno, e invece siamo molti: una legione, si dice nel Vangelo.
È un grande dono quando ci viene concesso che almeno due degli innumerevoli personaggi nei quali è spezzettata la nostra anima si rendano manifesti ai nostri occhi, sia pure nel pallore asettico di un’immagine riflessa. Possiamo allora contemplare due prototipi della nostra frammentarietà.
E l’illusione è squarciata dal dramma di vederci diversi da quell’immagine edulcorata di noi stessi alla quale eravamo da sempre abituati.
Preferiremmo continuare a dormire?
O accettiamo quale sacro dovere, da vivere come un gioco mortale e appassionante, il compito di ridare equilibrio e armonia, ma su un piano più elevato e nobile, al paradosso dei due estremi contrapposti e fieramente avversi?
Ridare candore infantile e curiosità aperta allo stupore all’occhio indomito e fiero, che contempla il mondo, non con indifferenza, ma con quella ferma e serena superiorità che rende pronti alla sfida ed assolutamente equanimi quanto all’esito della stessa?
Tu lo sai già.


[in risposta allo scritto di una cara ed indomita compagna di battaglia ]

mercoledì 24 settembre 2008

LACRIME NELLA PIOGGIA





tutto ciò che fai o che dici ha così tanta importanza per te

ti senti artista sulla scena di un monologo

e quella scena è la tua vita

e il palcoscenico è il mondo

ma nulla esiste e nulla conta davvero

né le nostre parole

né le nostre rabbie

né i nostri dolori

quello che dici o quello che fai

esce dalla tua bocca o dalle tue mani

e già non ti appartiene più

come non ti appartengono i detti e i fatti di un estraneo


siamo lacrime

nella pioggia

come dice il replicante di blade runner

e lo siamo con tutti i momenti

che per noi hanno avuto

o non hanno avuto un senso

un importanza

un gusto

abbiano meritato o meno

la dignità di un ricordo


mangiare il cibo di ogni giorno

sapendo che quel dono di vita a noi

è costato la morte di chi ci si è donato

è una consapevolezza costante e densa

che accompagna l'uomo che vuole dare un senso pieno

ed effettivo

al nome comune che contraddistingue la sua specie

eppure questa consapevolezza

non desta alcun sentimento nella sua anima

perché egli sa che se tutti fossero vegetariani

la quasi totalità degli animali domestici del mondo

non avrebbe l’opportunità di vivere


vivere è continuamente uccidere

amare è continuamente ferire

essere consapevoli è continuamente

accarezzare l'idea di questa morte lenta

che scandisce il ritmo del nostro esserci

e ci ricorda, se vogliamo ricordarcene,

che nulla esiste o ha un senso,

di tutto ciò che facciamo o diciamo


perché siamo lacrime nella pioggia

e lo siamo con tutti i momenti della nostra vita

che assurgano o meno

alla dignità del ricordo



venerdì 29 agosto 2008

ISTANTANEE INTUIZIONI







L'Illuminazione è qui.


È sedere con la mente quieta, serena,

non desiderosa di nulla

nemmeno di prolungare quest'attimo

di calma serenità,

libera da ogni ansia

anche dalla preoccupazione che questo momento finisca,

che questa pace si esaurisca.


La vita e la morte,

la felicità e la tristezza,

il piacere e il dolore,

il pensare o l'assenza di pensiero

sono assolutamente identici per Lei

e tale identità è il loro essere nulla.


Sa che non è veramente libera

e lo sarebbe solo

se questo istante diventasse perpetuo.

Ma non desidera nemmeno la Liberazione,

paga di ciò che è

in questo fuggevole adesso.


venerdì 15 agosto 2008

Piccoli e grandi cinesi d'Occidente









Odio l’etica meschina dei grandi piccolo-borghesi, i mandarini del capitalismo tecnocratico. Quelli che sono sinceramente convinti di servire la patria badando al meglio al proprio interesse.

Meglio, ma non di molto, la tracotante schiatta dei proletari imborghesiti, ormai mischiati in modo indistinguibile ai piccoli piccolo-borghesi proletarizzati.

Sono loro, gli uni e gli altri, i piccoli e grandi cinesi d’occidente, che si affacciano alla storia pressati dal loro impellente bisogno di imitare.

Ma, come tutti i cattivi imitatori che finiscono col prendersi sul serio, saranno travolti dalla marea strabordante dei veri cinesi, che assiepatisi da mezzo secolo sulla linea dell’orizzonte, brandendo un miliardo di ramazze, ora finalmente avanzano, decisi a spazzar via le macerie dell’Occidente progredito che si frappongono al loro cammino.

domenica 3 agosto 2008

DA CUORE A CUORE

Esiste una conoscenza antica – anzi a-temporale – che qualcuno ha convenuto di chiamare “tradizionale”.


Tale definizione indica che essa viene trasmessa (traditio) direttamente da maestro a discepolo, per via orale: i-shin-den-shin dicono i giapponesi, da cuore a cuore.

Analogamente in sanscrito la parola upanishad indica l’attitudine tradizionale di sedersi ai piedi del maestro per ascoltare le sue parole. E uno dei segni del carattere tradizionale dell’insegnamento evangelico è proprio la ricorrente immagine dei discepoli seduti in ascolto ai piedi o attorno a Gesù.

Episodi come il discorso della montagna e le moltiplicazioni di pani e pesci, poi, dimostrano che l’insegnamento di Gesù (come qualche secolo prima quello del Buddha) ha rotto le barriere delle divisioni castali od etniche, divenute prove di senso, per trasmettere l’insegnamento tradizionale alla totalità degli uomini e non più solo ad alcuni designati in virtù di una speciale qualificazione.


… non v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti.

(San Matteo, 10, 26-27)


La rivelazione universale, tuttavia, non fa venir meno il carattere esoterico e “segreto” dell’insegnamento, perché esso resta tale per sua natura: la capacità di penetrare il segreto, quindi di comprendere il senso profondo delle parole, dipende infatti dal grado di evoluzione interiore e dalla adeguata disposizione di chi le ode.


Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché parli loro in parabole?».

Egli rispose: «Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Così a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono. E così si adempie per loro la profezia di Isaia che dice:


Voi udrete, ma non comprenderete,

guarderete, ma non vedrete.

Perché il cuore di questo popolo

si è indurito, son diventati duri di orecchi,

e hanno chiuso gli occhi,

per non vedere con gli occhi,

non sentire con gli orecchi

e non intendere con il cuore e convertirsi,

e io li risani.


Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono.


(San Matteo, 13, 11-16)


L’insegnamento, infatti, si rivolge al discepolo nella sua integralità, a colui cioè che abbia sviluppato e armonizzato fino a un certo grado le sue funzioni interiori ed esteriori; ed abbia così destato quella capacità di ascoltare e intendere col cuore, da cui origina la possibilità di essere risanato.

Diversamente dall’idea oggi prevalente, il cuore tradizionalmente simboleggia il centro dell’individualità umana e soprattutto la facoltà di comprensione spirituale, o intuizione intellettuale, la quale nello stato ordinario dell’uomo versa in una sorta di atrofia o di torpore. Solo il risveglio di questa facoltà superiore, supportata da una ragione e da un sentimento opportunamente coordinati e rieducati, mette l’uomo in condizione di afferrare il senso profondo del linguaggio tradizionale, che si avvale principalmente di espressioni simboliche, fondate sul principio dell’analogia.

La dottrina tradizionale si articola sostanzialmente in tre gradi o ambiti, gerarchicamente ordinati: la conoscenza del mondo (Cosmologia), la conoscenza dell’uomo (Psicologia), la conoscenza del Divino (Teologia).

La legge di analogia, però, fa sì che ogni conoscenza acquisita in uno dei tre piani operi anche sugli altri due. Di modo che, la comprensione delle leggi sottili che governano il mondo naturale può essere trasposta sul piano interiore per la conoscenza di sé e degli altri e, ancora oltre, su quello della conoscenza identificativa col Divino.

La natura eminentemente pratica e realizzativa di questa conoscenza, infatti, implica necessariamente che ogni aspetto di essa si traduca in una tecnica, volta ad operare una trasformazione concreta nell’individualità umana, fino all’auspicato compimento finale della sua identificazione con il Principio Supremo non manifestato. Compimento che implica un quarto - indefinibile - livello conoscitivo-integrativo, e un corrispondente ambito dottrinario, quello della Metafisica pura.

Trattandosi di una conoscenza scientifica – per quanto non analitica, quindi di natura assai diversa da quanto oggi si intende con tale espressione – essa presenta un carattere empirico, sia pure non esclusivo. Essa si fonda infatti, soprattutto all’inizio, sull’osservazione di sé e del mondo, sulla rilevazione di alcune ricorrenze e costanti, sulla apertura di uno sguardo nuovo e più attento sulla realtà circostante e su quella interiore.

Al momento opportuno, per via diretta ovvero in un modo che può apparire a volte casuale, quando non “misterioso”, tali osservazioni vengono integrate da una nozione scientifico-operativa che permette di approfondirle e interiorizzarle. Così inizia un processo graduale di apprendimento-integrazione che, se sorretto da uno sforzo e da motivazioni adeguate, può portare in poco tempo ad una nuova consapevolezza di sé e, con essa, a una condizione di vita del tutto diversa, inattesa e sorprendente.

Questa sorpresa, che si ripresenta continuamente, ogni volta che lo sguardo così risvegliato incontra i minimi dettagli di una realtà in cui si era abituati a dare tutto per scontato, è fonte di un’energia e di una gioia illimitate. Le quali, se non rendono insensibili all’impatto con le durezze e le opprimenti ingiustizie dell’esistenza quotidiana, individuale e collettiva, tuttavia danno modo di inquadrarle in una prospettiva “relativa”, e quindi di affrontarle con il dovuto distacco e con un inconsueto spirito d’iniziativa.

In ultima analisi, la Via tradizionale, non è altro che rimanere seduti, immobili, e mettersi in comunione con l’universo, con sé stessi e con la Profondità Originaria che si è incarnata in noi. Ma per farlo, occorre aver riscoperto la pace e l’armonia eloquente del silenzio. Dentro e fuori di noi.

È uno sforzo non piccolo, a tratti doloroso, ma che potrebbe valere la pena di tentare.

venerdì 18 luglio 2008

presa d'atto







Eccoli lì,
i due tiranni della nostra anima,
che si credevano grandi e potenti,
riscoprirsi d'un tratto
pavidi e insignificanti
dinanzi alla foresta di pietra
del nostro incessante
diurno vaneggiare.

mercoledì 16 luglio 2008

Speculum veritatis


Ecco un'efficace rappresentazione della nostra anima
(per vederla meglio cliccateci sopra).
E noi che siamo convinti di essere un io...

giovedì 10 luglio 2008

Il nulla collettivo





Tiepido, protettivo, accattivante questo spersonalizzarsi in un amniotico conformismo dove ogni responsabilità di essere e di decidere viene delegata a un noi evanescente e incerto. E' un'abitudine malsana da cui l'anima impara presto a dipendere. Perciò bisogna sempre rispondere in prima persona ed essere pronti a fronteggiare dignitosamente le sofferenze che la vita ci impone (non quelle irreali frutto della cattiva immaginazione). A volte è meglio un tuffo deciso nell'ignoto, ovviamente sì, senza paracadute.



sabato 5 luglio 2008

NEL VUOTO


Nulla

più innaturale

di un tuffo nel vuoto.

Eppure

come potrebbe un uccello

spiccare altrimenti

il primo volo?

venerdì 27 giugno 2008

ottimismo e supponenza



Grande è il disordine sotto il cielo, la situazione dunque è eccellente.

Così scriveva il vecchio Mao, suppongo nei suoi Pensieri. Celebratissimi nel secolo scorso e oggi dimenticati dai più. Alludeva, ri-suppongo, al disordine sociopolitico della Cina postimperiale e postbellica, nella quale trovava l'humus ideale per far attecchire la pianta della sua nuova idea di socialismo.
Da ragazzo vidi la frase scritta su un muro con la vernice rossa. Mi piacque e la mandai a memoria.
In seguito - ma ancora attendo la conferma - mi piacque supporre che Mao l'avesse tratta dall'antica saggezza del suo popolo per adattarla alle pragmatiche necessità della rivoluzione.
Se fosse così, appare doverosa un'ulteriore supposizione: la massima, nel suo senso originario, va piuttosto riferita a quell'incomparabile profluvio di opportunità latenti, che la presente ultimissima ed oscurissima fase dell'Età Oscura riserva, contro ogni logica apparente, a coloro che brancolando nel buio arrancano sull'ardua via del Risveglio.
E' questa la ragione che m'induce ad alimentare, nonostante tutto e senza un vero perché, un ottimismo incondizionato.


lunedì 23 giugno 2008

insistenza



Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza
.

(San Giacomo 5, 16)


Ma io sono giusto?
E sono stato abbastanza insistente?

riassestamenti



Notti solitarie
in compagnia d'una vecchia cagna
che tempo fa
m'ha pure preso a mozzichi.

domenica 22 giugno 2008

Un'ottima notizia



L'errore più grave è quello di crederci sani.
Di pensare che la nostra condizione mentale ordinaria sia la normalità.
Non è così.
Siamo tutti affetti, chi più chi meno, da una forma di psicopatia nemmeno troppo nascosta.
Ed è solo per l'universale diffusione di questa patologia che non ce ne rendiamo conto.
Eppure basterebbe così poco per riconoscerla, a uno sguardo sereno, nella nostra instabilità nervosa, negli scatti d'ira, nelle ansie immotivate, nelle angosce ricorrenti, nei rancori invisibili, nelle paure variegate e insistenti, nelle dipendenze sempre nuove e sempre identiche, nella frenesia di soddisfare bisogni artificiali e fittizi...
Innamorati come siamo di un'immagine artefatta di noi stessi, ci ripugna di aprirci a questa amara verità, che pure abbiamo continuamente sotto gli occhi.
E, invece, riconoscere questa forma di demenza dolorosa e ammettere con noi stessi di esserne affetti è il primo passo per cominciare a guarire.
Ed questa, tutto considerato, è decisamente un'ottima notizia.