Esiste una conoscenza antica – anzi a-temporale – che qualcuno ha convenuto di chiamare “tradizionale”.
Tale definizione indica che essa viene trasmessa (traditio) direttamente da maestro a discepolo, per via orale: i-shin-den-shin dicono i giapponesi, da cuore a cuore.
Analogamente in sanscrito la parola upanishad indica l’attitudine tradizionale di sedersi ai piedi del maestro per ascoltare le sue parole. E uno dei segni del carattere tradizionale dell’insegnamento evangelico è proprio la ricorrente immagine dei discepoli seduti in ascolto ai piedi o attorno a Gesù.
Episodi come il discorso della montagna e le moltiplicazioni di pani e pesci, poi, dimostrano che l’insegnamento di Gesù (come qualche secolo prima quello del Buddha) ha rotto le barriere delle divisioni castali od etniche, divenute prove di senso, per trasmettere l’insegnamento tradizionale alla totalità degli uomini e non più solo ad alcuni designati in virtù di una speciale qualificazione.
… non v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti.
(San Matteo, 10, 26-27)
La rivelazione universale, tuttavia, non fa venir meno il carattere esoterico e “segreto” dell’insegnamento, perché esso resta tale per sua natura: la capacità di penetrare il segreto, quindi di comprendere il senso profondo delle parole, dipende infatti dal grado di evoluzione interiore e dalla adeguata disposizione di chi le ode.
Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché parli loro in parabole?».
Egli rispose: «Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Così a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono. E così si adempie per loro la profezia di Isaia che dice:
Voi udrete, ma non comprenderete,
guarderete, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo
si è indurito, son diventati duri di orecchi,
e hanno chiuso gli occhi,
per non vedere con gli occhi,
non sentire con gli orecchi
e non intendere con il cuore e convertirsi,
e io li risani.
Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono.
(San Matteo, 13, 11-16)
L’insegnamento, infatti, si rivolge al discepolo nella sua integralità, a colui cioè che abbia sviluppato e armonizzato fino a un certo grado le sue funzioni interiori ed esteriori; ed abbia così destato quella capacità di ascoltare e intendere col cuore, da cui origina la possibilità di essere risanato.
Diversamente dall’idea oggi prevalente, il cuore tradizionalmente simboleggia il centro dell’individualità umana e soprattutto la facoltà di comprensione spirituale, o intuizione intellettuale, la quale nello stato ordinario dell’uomo versa in una sorta di atrofia o di torpore. Solo il risveglio di questa facoltà superiore, supportata da una ragione e da un sentimento opportunamente coordinati e rieducati, mette l’uomo in condizione di afferrare il senso profondo del linguaggio tradizionale, che si avvale principalmente di espressioni simboliche, fondate sul principio dell’analogia.
La dottrina tradizionale si articola sostanzialmente in tre gradi o ambiti, gerarchicamente ordinati: la conoscenza del mondo (Cosmologia), la conoscenza dell’uomo (Psicologia), la conoscenza del Divino (Teologia).
La legge di analogia, però, fa sì che ogni conoscenza acquisita in uno dei tre piani operi anche sugli altri due. Di modo che, la comprensione delle leggi sottili che governano il mondo naturale può essere trasposta sul piano interiore per la conoscenza di sé e degli altri e, ancora oltre, su quello della conoscenza identificativa col Divino.
La natura eminentemente pratica e realizzativa di questa conoscenza, infatti, implica necessariamente che ogni aspetto di essa si traduca in una tecnica, volta ad operare una trasformazione concreta nell’individualità umana, fino all’auspicato compimento finale della sua identificazione con il Principio Supremo non manifestato. Compimento che implica un quarto - indefinibile - livello conoscitivo-integrativo, e un corrispondente ambito dottrinario, quello della Metafisica pura.
Trattandosi di una conoscenza scientifica – per quanto non analitica, quindi di natura assai diversa da quanto oggi si intende con tale espressione – essa presenta un carattere empirico, sia pure non esclusivo. Essa si fonda infatti, soprattutto all’inizio, sull’osservazione di sé e del mondo, sulla rilevazione di alcune ricorrenze e costanti, sulla apertura di uno sguardo nuovo e più attento sulla realtà circostante e su quella interiore.
Al momento opportuno, per via diretta ovvero in un modo che può apparire a volte casuale, quando non “misterioso”, tali osservazioni vengono integrate da una nozione scientifico-operativa che permette di approfondirle e interiorizzarle. Così inizia un processo graduale di apprendimento-integrazione che, se sorretto da uno sforzo e da motivazioni adeguate, può portare in poco tempo ad una nuova consapevolezza di sé e, con essa, a una condizione di vita del tutto diversa, inattesa e sorprendente.
Questa sorpresa, che si ripresenta continuamente, ogni volta che lo sguardo così risvegliato incontra i minimi dettagli di una realtà in cui si era abituati a dare tutto per scontato, è fonte di un’energia e di una gioia illimitate. Le quali, se non rendono insensibili all’impatto con le durezze e le opprimenti ingiustizie dell’esistenza quotidiana, individuale e collettiva, tuttavia danno modo di inquadrarle in una prospettiva “relativa”, e quindi di affrontarle con il dovuto distacco e con un inconsueto spirito d’iniziativa.
In ultima analisi, la Via tradizionale, non è altro che rimanere seduti, immobili, e mettersi in comunione con l’universo, con sé stessi e con la Profondità Originaria che si è incarnata in noi. Ma per farlo, occorre aver riscoperto la pace e l’armonia eloquente del silenzio. Dentro e fuori di noi.
È uno sforzo non piccolo, a tratti doloroso, ma che potrebbe valere la pena di tentare.